Burkina Faso: la crisi dimenticata

Quella del Burkina Faso è “la crisi più trascurata del mondo”, secondo il Consiglio Norvegese per i Rifugati (NCR) . La situazione nel Paese africano è il risultato di una combinazione di molteplici fattori: l’instabilità politica, gli effetti del cambiamento climatico, il terrorismo e la mancanza di governance statale della sicurezza. Il Global Terrorism Index, che misura l’impatto del terrorismo per ogni Paese del mondo, lo indica al secondo posto appena dopo l’Afghanistan.

Nel 2022, i bisogni umanitari della popolazione sono aumentati del 40%, e quasi 1 burkinabé su 4 ha bisogno di aiuti umanitari. Tuttavia, il controllo da parte del governo sul territorio nazionale è limitato dalla presenza di gruppi armati jihadisti, che ostacola le attività delle organizzazioni umanitarie. Ad esemipio, Medici Senza Frontiere ha annunciato la sospensione delle attività nel Paese dopo l’uccisione di due membri nel febbraio 2023.

La crisi umanitaria nel Burkina Faso è stata oscurata prima dallo scoppio della guerra in Ucraina, e dal recente colpo di stato militare nel vicino Niger. Inoltre, la sua copertura mediatica è limitata a causa della difficoltà, da parte di giornalisti e reporter stranieri, di accedere alle zone di guerra.

Cosa sta succedendo in Burkina Faso?

Uno dei principali elementi di crisi nel Burkina Faso è l’attività di gruppi di Islamisti jihadisti, legati ad Al-Qaida e allo Stato Islamico, che si macchiano di violazioni dei diritti umani e che di fatto controllano circa il 40% del territorio nazionale.

Il conflitto tra il governo e i jihadisti è iniziato nel 2016 e da allora la violenza è esplosa nel Paese, causando oltre 16 mila vittime.

L’instabilità e la violenza hanno provocato un alto numero di sfollati interni: al 2022, se ne stimavano quasi due milioni su una popolazione di circa ventidue. Il Paese ospita anche circa 23,000 rifugiati dagli stati confinanti, specialmente maliani, in campi profughi spesso esposti agli attacchi dei gruppi armati.

Intere città e regioni del Burkina Faso sono assediate dai jihadisti, frutto della strategia del terrore di questi gruppi, che intendono escludere migliaia di persone dalle comunicazioni con il resto del Paese e dall’accesso al cibo e ai servizi primari.

I bambini risultano particolarmente esposti a questa crisi: aumentano costantemente i casi di bambini costretti ad arruolarsi nelle milizie jihadiste e, con le scuole spesso bersaglio di attacchi terroristici – un istituto su quattro è fuori servizio-, oltre 350,000 bambini risultano esclusi dal sistema educativo.

La situazione nel Burkina Faso è legata al quadro di instabilità politica che caratterizza la regione del Sahel, afflitta da frequenti colpi di stato, guerre civili, scontri di natura etnica e religiosa, terrorismo ed eventi climatici estremi.

Ai fattori di crisi pre-esistenti, si sono aggiunte le conseguenze della pandemia da Covid-19, l’inflazione e l’aumento dei costi dei beni agricoli e alimentari.

Il ruolo del cambiamento climatico nella crisi

Gli effetti del cambiamento climatico si intersecano con le cause e le conseguenze dell’instabilità politica, economica e sociale del Sahel. Infatti, è la scarsità di riserve d’acqua o di suoli fertili a scatenare, spesso, lotte interne per il controllo delle poche risorse disponibili. Ad esempio, nel Burkina, circa un milione di persone sono escluse dall’accesso all’acqua per via degli attacchi contro i pozzi.

Le conseguenze del cambiamento climatico per il Burkina Faso includono il deterioramento della qualità del suolo, le alterazioni nel ciclo delle piogge e quindi nella loro prevedibilità, la desertificazione e la maggiore frequenza di eventi climatici estremi. In un Paese dove l’80% della popolazione vive di agricoltura e allevamento, questi eventi mettono a rischio la sopravvivenza di milioni di persone.

L’insicurezza alimentare nella regione continua a rappresentare una grave minaccia, e potrebbe peggiorare con l’intensificarsi dei conflitti: inBurkina Faso, già oltre 2,6 milioni di persone necessitano urgentemente assistenza alimentare.

Cosa succederà?

Per stabilizzare la regione e frenare l’avanzata del terrorismo, la Francia lanciò, nel 2014, l’Operazione Barkhane, inaugurando una presenza militare nel Sahel. Gli apparrenti insuccessi della missione hanno portato al ritiro dei soldati francesi dal Mali e, all’inizio 2023, dal Burkina.

La richiesta del ritiro francese è arrivata dalla giunta militare burkinabé, che ha conquistato il potere nel settembre 2022, otto mesi dopo un primo colpo di stato militare.

Il disimpegno francese e il deteriorarsi dei rapporti diplomatici tra Parigi e le sue ex colonie hanno sollevato preoccupazione tra i governi occidentali che anche il Burkina Faso, come il Mali, possa avvicinarsi sempre di più alla Russia e assoldare i mercenari del gruppo Wagner per fronteggiare i jihadisti.

Mosca colmerebbe così il vuoto lasciato dalla Francia, acquisendo una maggiore influenza in Africa occidentale, ma la presenza del gruppo Wagner nel Burkina Faso non sarebbe immune da costi: come nel vicino Mali, i mercenari potrebbero richiedere concessioni minerarie e accesso alle risorse primarie del Paese in cambio dei servizi di sicurezza forniti.

In più, essa non comporterebbe un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione: le violenze commesse dai paralimitari impegnati in Mali potrebbero abbattersi anche sui burkinabé, sommandosi alle atrocità commesse dai jihadisti.

Le implicazioni sono rilevanti: la cooperazione offerta dalla Russia, non di tipo condizionale come quella occidentale, permetterebbe di tutelare la giunta militare dalle richieste di apertura in senso democratico nel Paese.

Inoltre, a seguito del colpo di stato in Niger del luglio 2023, i membri della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) potrebbero considerare un intervento militare congiunto per restaurare l’ordine nel Paese, che aggraverebbe la crisi umanitaria nel Sahel e specialmente quella del Burkina Faso, dove potrebbero giungere migliaia di profughi nigerini.

La crisi del Burkina Faso non può essere affrontata con una soluzione univoca. È certamente necessaria una maggiore mobilitazione di fondi umanitari: nel 2022, è stato garantito solo il 42% degli aiuti finanziari richiesti. Ma servono anche programmi ambientali e per mitigare l’insicurezza alimentare, che tengano espressamente conto del ruolo delle donne, vittime silenziose di una crisi che impatta su di loro con effetti devastanti.

È, infine, necessario che il mondo prenda coscienza di quello che sta accadendo nel Paese, affinché la crisi più trascurata dei nostri anni raggiunga l’attenzione di cui ha urgentemente bisogno.

Questo articolo, a cura di Nicola Caserio, è stato scritto in collaborazione da Orizzonti Politici e Affari Internazionali, la rivista di IAI, nell’ambito del progetto sulle crisi umanitarie nel mondo

IN QUESTA SITUAZIONE DI GRAVE DIFFICOLTA’, ARRIVA FORTE IL LORO GRIDO DI AIUTO, DI GRATITUDINE E DI SPERANZA IN NOI, COME LEGGIAMO IN QUESTE PAROLE CHE CI DANNO LA FORZA DI CONTINUARE AD ATTIVARCI PER SOSTENERLI:

“La situazione di miseria, insicurezza, instabilità politica del nostro paese spinge ulteriormente i poveri verso un domani incerto. Ma grazie ai vostri continui sforzi, noi abbiamo almeno la speranza di vivere serenamente, nonostante le difficoltà quotidiane. Grazie, grazie, grazie dal profondo del cuore, grazie infinite. Voi non vi stancate mai di venirci in aiuto e noi non ci stancheremo mai di dirvi GRAZIE”

“Grazie infinite per l’aiuto che avete donato alla suora . Che Dio vi benedica”

                        da una lettera di Suor Augusta (nostra referente in Burkina

 

Burkina Faso, la situazione attuale tra prospettive e speranze

Don Antonio Mussi, missionario Orionino, racconta la situazione del Paese africano, dove la Congregazione è presente con sei comunità, e dal quale continuano ad arrivare notizie di drammatici attacchi terroristici

 

Il Burkina Faso è sempre più in preda all’instabilità e alla violenza jihadista, ed è da ormai una decina d’anni che il paese africano vive una situazione sociale e politica delicata e critica.

«Il Burkina Faso (che tradotto significa “Paese degli uomini integri”), che fino al 2 agosto 1984 si chiamava Alto Volta, è il risultato della politica coloniale e post-coloniale francese. I suoi confini sono stati tracciati alla conferenza di Berlino del 1884-1885, dove le nazioni europee si spartirono gran parte dell’Africa con lo scopo di sfruttarne le materie prime. Sono presenti una sessantina di etnie. Dal dicembre 2023 il francese non è più lingua nazionale ma resta in uso come lingua di lavoro».

I problemi più recenti, però, hanno inizio nel 2014: «Tra il 30 e il 31 ottobre un’insurrezione popolare e militare ha costretto all’esilio Blaise Campaoré, presidente della Repubblica in carica da ventisette anni, e che voleva ripresentarsi alle elezioni per la quinta volta. Da allora la gente ha cominciato a reclamare con grande forza più trasparenza, più giustizia e democrazia. In quello stesso periodo cominciarono apparire i terroristi islamici a partire dal nord lungo i confini col Mali e il Niger, frontiera che raggiunge i 1628 km. Oggi sono presenti anche nel sud-ovest, intorno alla città di Banfora, fino ai confini con la Costa d’Avorio, e anche nell’est intorno alla città di Fada Ngourma, regione ai confini con il Benin e il Togo. Uccidono la gente nei villaggi della savana, rubano il bestiame, occupano edifici dell’amministrazione statale, mettono le mani su miniere dove si estrae oro e diamanti. La gente fugge verso il sud del paese, nelle grandi città. Si calcola che gli sfollati a causa dei terroristi hanno raggiunto la cifra di oltre due milioni».

A partire dal settembre del 2022: «Dopo un periodo di tentennamenti e incertezze nella conduzione del paese, un capitano delle forze armate di soli 34 anni, Ibrahim Traoré, con l’aiuto di un gruppo di militari e senza violenza, ha preso il potere, avviando un periodo di transizione che dura a tutt’oggi. È da un anno e mezzo, quindi, che sono in carica le nuove istituzioni dello stato: governo, parlamento, amministrazione statale e regionale.  Uno dei problemi principali del governo di Ibrahim Traoré è liberare il Burkina, calcolato nel 60% del territorio, dai terroristi e da quelli che occultamente li sostengono e li finanziano.

Le sfide, però, non si fermano qui. C’è infatti la necessità di riappacificare e unificare la popolazione, L’altra grande scommessa è far diventare le sessanta etnie del Burkina un solo popolo. Certo è un cammino difficile e pieno di incognite. L’obbiettivo da raggiungere è diventare veramente indipendenti e autonomi in tutti campi e settori della vita sociale, finanziaria e economica con la partecipazione e l’impegno di ogni uomo e donna del Burkina Faso. La stessa strada è stata intrapresa dal Mali e dal Niger con buoni risultati. Non è un caso che i tre stati (Burkina Faso, Mali e Niger, appunto) stiano arrivando ad un accordo per unirsi in alleanza o federazione. Per il momento costituiscono l’Allenza degli Stati del Sahel (AES).